MEMORIE STORICHE DELLA FAMIGLIA MARCHESANI
La famiglia Marchesani, anche se fìno ad ora poco o nulla conosciuta nella storia regionale dell’Abruzzo e del Molise relativa ai secoli XVI e XVII, può essere annoverata tra le più illustri del Regno di Napoli perché fiorì con distinta nobiltà nel XII secolo nel Ducato di Apulia, nel XIII nel Principato di Salerno e successivamente in Sicilia e nel Piemonte. Dal XV ad XVII secolo fu presente nell’Abruzzo Citra, nel contado di Molise ed in Terra di Lavoro come attestano anche numerosissime fonti storiche. Celidonie ci riferisce che essi allevavano pregiate razze di cavalli, tanto che nel 1547 il Vescovo di Valva pubblicamente si vantava di cavalcare “un ronzino di pilo saynato di la razza di Joanne Marchisano della Roccacinquemiglia”. La notizia che i Marchesani dedicarono parte delle loro attività all’allevamento è confermata dal D’Andrea il quale documentava che nel 1557, con bando del Doganiere di Foggia, Alessandro Marchesani, in qualità di fidato e proprietario di mucche, venne obbligato di portarne un certo numero in località “Vado Breccioso” nei pressi di Foggia, perché dovevano essere usate ad uso dell’esercito. Il Celidonie riferisce ancora che i Marchesani si trovavano implicati nelle usurpazioni dei terreni di proprietà del monastero di S.Maria, tanto che nell’agosto 1574 ci fu addirittura un inquisizione, per comminare una eventuale scomunica, a carico di don Giovanni Marchesani, arciprete di Roccacinquemiglia, e dei suoi fratelli Geronimo ed Alessandro; questi ultimi nei documenti sono detti i “magnifici”, ossia quel titolo che si dava a tutti i patrizi prima di assumere quello abusivo di eccellenza. Inoltre avevano in fitto, da molto tempo, quasi tutti i beni di proprietà del monastero di S.Maria, la cui estensione ammontava a 800 ettari, naturalmente anche i Marchesani, come avvenne in tutta l’Italia, si costituirono economicamente quasi esclusivamente con il patrimonio dei monaci. Raggiunsero una ragguardevole posizione tanto che alla fine del XVI secolo, costruirono sulla sommità del monte Calvario, nelle immediate vicinanze della chiesa parrocchiale, il proprio palazzotto, che prima di venire completamente distrutto dai bombardamenti del 1943-44 ospitava ben dodici famiglie. Nella chiesa parrocchiale del 1559 intitolata a San Giovanni Battista, i Marchesani possedevano una cappella gentilizia a loro riservata, con un artistico altare in marmi ai cui lati figuravano gli stemmi del casato, godevano anche del diritto di sepoltura. Lo stemma di famiglia è formato da uno scudo piuttosto ovale con ampie volute; al centro figura una torre merlata alla ghibellina, torricellata e merlata, che nel linguaggio araldico indica la forza. E’ accostata da due marchi di stadera, uno per lato. Lo scudo è sormontato da una testa di uomo con collarino alla spagnola, racchiuso da volute. Da ciò si deduce che l’arma dei Marchesani significa “marchi sani”, cioè precisi in quanto danno il peso esatto. Poiché la bilancia in araldica significa giustizia, equità e moderazione i Marchesani fecero della onestà e della precisione la loro bandiera.